L’imprenditorialità è uno dei principali driver per la crescita economica ed è considerata tra i principali fattori dello sviluppo anche sotto il profilo occupazionale. Il sostegno ai processi di creazione e consolidamento di imprese attraverso specifici servizi è uno dei principali elementi di rilancio del sistema economico nazionale dopo la crisi determinata dalla pandemia.

Questa pubblicazione, realizzata sugli esiti dell’indagine Excelsior svolta nel 2021, mette in luce due fenomeni che da tempo segnavano l’apertura di nuove imprese nel nostro Paese e che la pandemia dovuta al COVID-19 ha confermato, e forse accelerato:

  • la concentrazione settoriale: l’80% delle nuove aziende si colloca nei settori del commercio, dei servizi alle imprese e delle costruzioni.
  • il restringimento dell’offerta occupazionale: da 2,1 addetti per nuova impresa nel 2017 a 1,84 nel 2021.

Per quello che riguarda l’entità del fenomeno nuove imprese in termini assoluti, il quadro generale segnala un buon rimbalzo: si è passati, infatti, dalle 143.880 nuove imprese del 2019 alle 129.300 del 2020 (-14.580, -10,13%) per poi risalire alle 151.890 del 2021 (+8.010, +5,57% su base 2019). La vitalità imprenditoriale “reale”, quindi, ha resistito abbastanza bene all’impatto della crisi sanitaria.

Le caratteristiche dei nuovi imprenditori: imprenditori per opportunità o per necessità?

Gli studiosi individuano due macro-intenzioni nell’avvio di una nuova iniziativa. Da un lato, la propensione verso una carriera imprenditoriale è spinta da un’immagine del proprio futuro concepito tramite le chiavi dell’intraprendenza, della creatività, del successo e dell’indipendenza: è la cosiddetta “imprenditorialità per opportunità”; dall’altro lato, le ricerche mostrano che uno stato di bisogno, ossia l’assenza di alternative spinge alla scelta di aprire una nuova impresa: è la cosiddetta “imprenditorialità per necessità”.

Nel nostro Paese, il secondo tipo di imprenditorialità non è il prevalente e si attesta a circa un quarto dell’indicatore “imprenditorialità per opportunità”. I dati post-pandemici sembrano però cambiare questa direzione: si è bloccato il passaggio dal lavoro dipendente alla nuova imprenditorialità.

Quello che rappresentava il bacino più importante per la creazione di nuove aziende (lavoratori dipendenti) è calato drasticamente dopo la pandemia: dal 32,1% nel 2019 al 19,6% nel 2021 (-12,5 p.p.). Sembra quindi di assistere ad una contrazione della parte più dinamica e innovativa della neoimprenditorialità, ossia proprio la “imprenditorialità per opportunità”.

Chi sono i neo-imprenditori?

Nel volume, con lo scopo di costruire alcuni segmenti con particolari caratteri distintivi che, pur non rappresentando la complessità delle varianti della massa dei neo-imprenditori, possono indicarci qualitativamente e in sintesi alcuni sentieri di sviluppo,  sono individuate quattro macro-tipologie di neo-imprenditori:

  • un uomo, tra i 35 e i 50 anni, residente al Sud Italia, che apre la propria azienda sia per opportunità (ha una buona conoscenza del proprio mercato) sia per necessità (deve trovare un lavoro stabile), prevalentemente nel comparto delle costruzioni e cerca uno o due collaboratori giovani, tecnicamente preparati, meglio se laureati;
  • un consulente di servizi alle imprese, con un titolo di studio elevato, attivo soprattutto al Nord, che vuole valorizzare le proprie competenze e mira al successo economico e ricerca collaboratori già formati, con una base commerciale;
  • una donna over 50 che vuole tornare nel mercato del lavoro dopo un lungo periodo ‘di cura’ e si orienta soprattutto nel campo dei servizi alla persona e del turismo; è attiva in particolare nel Centro del Paese e non ritiene rilevante l’età e il genere di un possibile collaboratore, ma considera molto importante il titolo di studio superiore e la laurea;
  • un giovane under 35 impegnato nel commercio e nei servizi alla persona, diplomato e attivo nel Sud e nel Nord Ovest, alla ricerca di autonomia economica e lavorativa; nei primi mesi di attività riscontra difficoltà nelle procedure amministrative e cerca collaboratori formati, soprattutto nell’area commerciale e tecnica.

Settori produttivi e capitale investito nelle nuove imprese

Il rapporto fornisce anche risposte alle seguenti domande: in quali settori produttivi si lanciano i neo-imprenditori con una maggiore propensione all’investimento? La pandemia ha cambiato la scelta di cosa produrre o di che servizi erogare? Come può essere finanziata la scelta del settore produttivo?

I maggiori investimenti avvengono nei settori a minore crescita di imprese, in particolare “turismo” e “industria”. Speculare a questo primo riscontro risulta l’osservazione che le nuove imprese di costruzioni, che abbiamo visto numericamente in crescita, sono le meno capitalizzate. Il settore “industria” cresce come numeri assoluti più lentamente di altri, ma in esso riscontriamo la concentrazione di maggiori investimenti: il 54,1% delle nuove imprese industriali ha investito più di 5.000€. Il comparto turistico ha il più alto valore di imprese che hanno investito più di 50.000€ (il 21,1%): nel “turismo” nascono poche nuove imprese ma capitalizzate. Il dato peggiore riguarda le “costruzioni ed attività immobiliari”, il 65,9% delle nuove imprese ha investito un capitale inferiore a 5.000€.

Il capitale iniziale investito non è cambiato significativamente negli anni: il 2021 segna forse una prima polarizzazione: più investimenti piccoli sotto i 10.000€ e più investimenti grandi sopra i 50.000€. Sono infatti in calo per la quinta rilevazione consecutiva i capitali investiti nella nascita dell’impresa compresi tra 10.000 e 50.000€. Le fonti di finanziamento principali rimangono le proprie disponibilità finanziarie e, soprattutto nelle imprese con proprietario under35, i prestiti di parenti ed affini.

Le assunzioni programmate nelle nuove imprese

L’altro importante aspetto approfondito è l’impatto delle nuove imprese sui fabbisogni professionali e formativi: la quota di entrate programmate dalle nuove imprese è storicamente molto inferiore rispetto a quella riferita al totale delle imprese (23.270 rispetto alle 3.242.310 nel 2020; 21.430 rispetto alle 4.638.547 nel 2021).

Per l’anno post emergenza pandemica il calo è ancora più forte:

  • nel 2020 la quota di entrate programmate nelle nuove imprese risultava essere il 7,2 per 1000 e l’1,9 per 1000 nelle nuove imprese giovanili;
  • nel 2021 gli stessi dati vedono una contrazione rispettivamente a 4,6 per 1000 e 1,4 per 1000.

Le nuove imprese, il lavoro giovanile e i titoli di studio

Per le nuove imprese si evidenzia un particolare interesse per gli “under 30”, che rappresentano oltre il 35% del totale delle entrate contro il 27,5% del totale di tutte le imprese. Tale quota raggiunge poi per le nuove imprese giovanili il 43,1% del totale delle entrate.

Riguardo i titoli di studio richiesti nel 2021 i tre livelli superiori (universitario, ITS e secondario) vengono richiesti molto di più nelle nuove imprese (53,3%), ed in particolare in quelle giovanili (55,2%), rispetto al complesso delle imprese (46,2%). Le nuove imprese richiedono una minore quota di figure con livello di istruzione secondario (28,4%, contro il 31,0% nel complesso delle imprese), qualifica professionale (18,6% contro il 23,7%) e senza una formazione specifica (28,1% contro 30,1%)

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